Il conflitto armato colombiano è uno dei più longevi del mondo; esso infatti insanguina e destabilizza il Paese sudamericano da mezzo secolo. Le forze in campo sono essenzialmente due: da un lato lo Stato colombiano, dall’altro la guerriglia, identificata principalmente con le Farc (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia). Entrambi i fronti si sono macchiati di gravi crimini, passando da sequestri, sfruttamento del narcotraffico, giustizia sommaria e operazioni paramilitari sostenute da corposi finanziamenti statunitensi.
Dal 1964, anno di nascita delle Farc, il gruppo di guerriglia maggiore per numero, attività e notorietà, il tema della soluzione di tale conflitto ha assunto progressivamente maggiore rilevanza, arrivando a divenire necessariamente il centro della politica interna della Colombia.
Le strategie proposte sono state svariate; alcuni Presidenti hanno sostenuto il dovere dello Stato di sconfiggere sul campo la guerriglia, stimolando però una spirale di violenza sempre maggiore e senza riuscire a sradicarla. Altre Presidenze hanno invece intrapreso la via del negoziato, che però ha sempre portato a un nulla di fatto, almeno fino ad oggi.
Un tentativo di negoziato terminato nel sangue è stato quello promosso dal Presidente Betancurt, durante la sua Presidenza dal 1982 al 1986, tramite gli Accordi della Uribe con le Farc (28 marzo 1984) e l’accordo di Corinto con il movimento M-19 (24 agosto 1984).
Inizialmente Betancurt era così riuscito ad accordare un cessate il fuoco tra il Governo e i vari movimenti di guerriglia, ma la sua decisione di trovare una soluzione politica al conflitto armato colombiano risultò immediatamente controversa all’interno del Paese.
La tensione aumentava velocemente, mentre le condizioni di vita peggioravano, tanto che il movimento di guerriglia M-19 decise di rompere la tregua, arrivando il 6 novembre 1985 ad assaltare il Palazzo di Giustizia a Bogotà.
L’esercito reagì immediatamente, segnando il definitivo fallimento del tentativo di Betancurt. A pagarne il prezzo più alto fu certamente il movimento M-19, che contò il numero maggiore di caduti nei mesi che seguirono la presa del Palazzo di Giustizia. Le gravi perdite inflissero un colpo fatale al movimento che si sgretolò progressivamente, arrancando per tutti gli anni ’80 fino alla dissoluzione del movimento all’inizio degli anni ’90, in seguito alla quale alcuni dei suoi componenti confluirono negli altri movimenti di guerriglia.
Tale tentativo di soluzione pacifica non sortì dunque gli effetti auspicati e lasciò spazio alla via militarista, che risulta infatti alternarsi alla soluzione concordata.
Una sintesi di tali metodi emerge anche nell’ultimo decennio, in particolare nelle figure di Álvaro Uribe Vélez e di Juan Manuel Santos Calderón.
Álvaro Uribe Vélez (2002-2010)
Uribe è stato Presidente della Colombia dal 2002 al 2010, essendo stato rieletto per un secondo mandato nel 2006. Durante questi otto anni l’ex Presidente si è fatto promotore della cosiddetta politica della “sicurezza democratica”, la quale ha alimentato la violenza nel Paese e l’incertezza dei suoi cittadini, in particolare nelle aree periferiche e di frontiera. Sono state incentivate le azioni paramilitari e proposte ricompense agli informatori, fino alla promessa di ricompense per l’uccisione di componenti delle Farc.
Durante la presidenza di Uribe è certamente diminuito il numero dei guerriglieri, passati dalle 24000 unità alle 8000 (1). Un tale approccio, puramente militare, ha contribuito ad acuire la violenza nel Paese, spesso a scapito della popolazione civile.
Uno degli episodi più scandalosi è quello dei falsos positivos, verificatosi in diverse località del Paese dopo l’applicazione della Direttiva numero 29, nel novembre 2005. Tale direttiva ha introdotto ricompense specifiche per l’uccisione di guerriglieri, da un minimo di 1900 dollari a un massimo di due milioni e cinquecentomila dollari, a seconda del grado della persona uccisa (2).
Tale provvedimento ha avuto conseguenze anche peggiori di quelle che si sarebbero avute nella corretta applicazione della norma; il fenomeno, infatti, è degenerato nella messa in scena di falsos positivos. Centinaia di ragazzi sono stati prelevati dalle proprie case, travestiti da guerriglieri e poi uccisi, in modo da ottenere le ricompense promesse dalla Direttiva 29 (3).
La conferma di tali atrocità e la condanna internazionali non si sono fatte attendere; Philip Alston, Relatore Speciale delle Nazioni Unite per le esecuzioni arbitrarie, ha affermato : “[…] membri delle forze di sicurezza della Colombia hanno perpetrato un numero significativo di esecuzioni extragiudiziali, seguendo un modello comune all’interno del Paese. Anche se questi omicidi non furono commessi come parte di una politica ufficiale, ho trovato molte unità militari coinvolte nei cosiddetti “falsi positivi”, in cui le vittime erano assassinate da militari, spesso per ottenere un beneficio o un vantaggio personale” (4).
Un altro grave episodio causato dall’approccio militarista di Uribe si è verificato nel 2009, quando le Forze Armate colombiane non hanno esitato a bombardare un territorio ecuadoriano, pur di colpire un accampamento delle Farc ivi situato. L’episodio ha causato inevitabilmente un raffreddamento dei rapporti tra i due Paesi; inoltre il Venezuela ha dimostrato di appoggiare l’Ecuador e ha duramente criticato una simile politica estera della Colombia. Essa infatti, negli anni di Uribe, ha scelto di avvicinarsi agli Usa, i quali hanno contribuito in maniera decisiva alla politica della sicurezza democratica, sostenendola con ingenti finanziamenti (5).
Juan Manuel Santos Calderón e l’attuale processo di pace
La linea dura di Uribe è riuscita ad assottigliare le fila della guerriglia, ma non a sconfiggerla. Otto anni di lotta violenta e continua non hanno saputo scrivere la parola fine. Nel 2010 le Farc ci sono ancora, sono forti e sono attive.
Al termine del doppio mandato di Uribe è ormai chiaro che nessuna delle due forze sconfiggerà mai l’altra sul campo in maniera definitiva (6).
Il Presidente Santos, eletto nel 2010 come successore di Uribe, ha infatti scelto di percorrere una via opposta a quella del suo predecessore: il negoziato. Santos si pone in rottura non solo col passato del Paese, ma anche con le sue personali scelte anteriori. Egli è stato Ministro della Difesa durante la Presidenza di Uribe, dunque complice e fautore consapevole delle deplorevoli politiche aggressive perpetrare.
Alla luce di quanto affermato, la scelta di Santos può essere letta in maniera più compiuta come una decisione marcatamente politica, non certamente ideologica. Forse proprio in ciò sta la sua forza e il suo auspicabile successo.
Dopo decenni di guerra civile, l’uso della forza non ha sortito gli effetti sperati, non resta che affacciarsi con fiducia a una soluzione conciliata del conflitto.
In questa prospettiva si è espressa in un’intervista del 2008 anche Ingrid Betancourt, sequestrata per oltre sei anni dalle Farc, affermando che ”è importante esercitare una pressione dal punto di vista militare, ma in questo modo non si riusciranno a sconfiggere veramente (le Farc)”; la Betancourt ha sostenuto infatti che un’alternativa efficace è l’attuazione di azioni di politica sociale per offrire alternative all’arruolamento nelle Farc, venendo incontro alle istanze sociali finora inascoltate, che ingrossano le fila della guerriglia (7).
Sembra arrivato il momento del dialogo, il momento di trattare, negoziare per giungere a una soluzione condivisa e proprio per questo sostenibile nel tempo. Il 26 agosto a Cuba è stato adottato l’Accordo quadro per porre fine al conflitto armato. Al tavolo delle trattative i delegati del Governo della Repubblica della Colombia e i delegati delle FARC ed EP. In occasione di tali negoziati è emerso che la scelta di intavolare negoziati e di arrivare finalmente alla pace è sostenuta anche a livello internazionale. Cuba e Norvegia si sono infatti impegnate come garanti, mentre il Venezuela ha assunto il ruolo di mediatore (8). Anche in questo senso sembra che il governo colombiano voglia dare un segnale di rottura col passato, rappresentato da Uribe. Se quest’ultimo si era appoggiato agli Stati Uniti per finanziare la sua politica della sicurezza democratica, Santos decide di cambiare tattica. Si affida al negoziato e lo fa col sostegno di Cuba, Norvegia e Venezuela, estromettendo finalmente gli Usa dalle dinamiche delle sua politica interna.
Tale Accordo preliminare prevede un’agenda, che stabilisce le priorità e le finalità comuni. Innanzitutto la questione della riforma agraria viene posta come base da cui partire per raggiungere lo sviluppo sociale ed economico del Paese, necessario a porre fine al conflitto; la rilevanza è provata dal fatto che questo tema sia posto come primo punto programmatico dell’agenda.
In seguito viene riconosciuta la necessità di assicurare un’effettiva partecipazione politica (punto secondo), che comprenda l’accesso ai mezzi di comunicazione, la garanzia del diritto di opposizione politica, ma anche di partecipazione diretta alla vita politica. Naturalmente tali diritti politici non possono essere assicurati, senza aver posto termine in maniera definitiva al conflitto armato (punto terzo). Il cessate il fuoco e la pace devono inoltre essere accompagnati da un grande impegno nella lotta al narcotraffico (punto 4), in modo da poter garantire alla popolazione un ambiente sicuro in cui vivere e lavorare per lo sviluppo del Paese, nel segno della legalità. Tale accordo non intende però ignorare il passato e le parti contraenti si impegnano a risarcire le vittime del conflitto, assicurando il rispetto dei diritti umani (punto 5).
Attualmente sono in corso le contrattazioni relative al primo punto, la questione agraria, considerata la chiave per porre fine alle disuguaglianze del Paese, che ne alimentano il conflitto. Il documento parla infatti di “sviluppo agrario integrale”, necessario a uno sviluppo sociale che comprenda innumerevoli dimensioni: la salute, l’educazione, l’abitazione, lo sradicamento della povertà e il raggiungimento della sicurezza alimentare (9).
Dopo quasi mezzo secolo di quella che difficilmente può non essere definita una vera e propria guerra civile, sembra ci sia una chiara volontà politica di porvi fine in maniera pacifica e sostenibile nel tempo. Il conflitto non ha fatto altro che produrre instabilità e insicurezza all’interno del Paese, di cui gli unici beneficiari sembrano essere i maggiori narcotrafficanti colombiani. Essi infatti hanno potuto approfittare dell’anarchia regnante nelle zone periferiche e di frontiera del Paese, creando così una sorta di zona franca tra Colombia, Venezuela ed Ecuador in cui gestire i propri traffici illeciti, arricchendosi a scapito delle miserevoli condizioni di vita delle popolazioni di quelle aree, lasciate in balia delle violenze dai propri governi.
L’Accordo quadro dà un segnale positivo e, rinnegando la via militarista già perdente in passato, inizia quello che potrebbe essere il definitivo processo di pacificazione.
*Rachele Pagani, laureanda in Diritti dell’uomo ed etica della cooperazione internazionale presso l’Università di Bergamo
(1)Pace in Colombia, le Farc e Santos ci provano, Maurizio Stefanini http://temi.repubblica.it/limes/pace-in-colombia-le-farc-e-santos-ci-provano/37900
(2)Los falsos positivos, Samuel Barinas http://www.aporrea.org/internacionales/a99939.html
(3)il successore di Uribe e le Farc, Antonio Moscato http://ilmegafonoquotidiano.it/news/il-successore-di-uribe-e-le-farc (4)http://www.un.org/spanish/Depts/dpi/boletin/dynpages/a_21403_dtls.html
(5)Colombia: il conflitto armato, http://www.treccani.it/enciclopedia/colombia-il-conflitto-armato_(Atlante_Geopolitico)/
(6)La pace in Colombia per chiudere il Novecento, Francesca D’Ulisse, http://www.treccani.it/magazine/piazza_enciclopedia_magazine/geopolitica/La_pace_in_Colombia_per_chiudere_il_Novecento.html
(7)http://www.youtube.com/watch?v=C86cYqUdHP4
(8) e (9) Revelan texto del acuerdo firmado por Gobierno y Farc para iniciar diálogos de paz, http://www.canalrcnmsn.com/noticias/gobierno_y_farc_firmaron_un_documento_de_seis_puntos_para_iniciar_di%C3%A1logos_de_paz